Scelta scontata e ardua. Non è stato facile arrivare all’ultima pagina di questo classico di Joyce, una raccolta di racconti che in realtà sono ritratti di cittadini tipici della capitale d’Irlanda; grazie alla penna e all’estro dell’autore, sono descrizioni di una modernità che quasi spaventa. Dovete pensare che sono stati scritti a inizio Novecento (1914, l’anno di pubblicazione), ma le parole ardite e il modo di raccontare gesti ed espressioni sembrano cosa da 2016. Impressionante.
Ammetto: è una lettura pesante, che ho pensato più volte di abbandonare (i personaggi sono a tratti noiosi, negativi, la storia s’inceppa). Per fortuna, non l’ho fatto: il racconto che mi è piaciuto di più è stato l’ultimo, “I morti”, con quel Gabriel così ben descritto, quei battibecchi fra irlandesi “puri” e anglofili, quelle pennellate di città, Dublino appunto, che appare sempre esattamente com’è. E come la trovate ancora oggi: ubriachi per strada (è così!), gente allegra e ospitale (è così), palazzi e vie grigie, fiume che appare all’improvviso (è esattamente così).