30 aprile 1975, l’epilogo: l’esercito americano (di fatto sconfitto) ha lasciato il Vietnam da un paio d’anni, a seguito degli Accordi di Parigi; le forze armate della Repubblica del Vietnam (ovvero del Sud Vietnam) sono travolte dall’improvvisa avanzata di primavera dei nordvietnamiti e dei vietcong che, dopo aver dilagato sugli altipiani centrali, sono alle porte di Saigon. Il presidente Nguyễn Văn Thiệu è fuggito a Taiwan, così come ha fatto il suo vice. Migliaia di sudvietnamiti, compromessi con il regime o che hanno collaborato con gli americani, tentano disperatamente di lasciare il Paese, ma l’aeroporto è sotto i bombardamenti e gli elicotteri Usa – che fanno la spola tra l’ambasciata e le navi che incrociano nel Mar Cinese meridionale – riescono a malapena a evacuare i diplomatici, gli occidentali e i pochi locali che possono dimostrare di avere un rapporto di parentela con questi ultimi. Scene drammatiche che rimangono impresse sulle pellicole e nella mente di chi le ha viste anche solo in televisione o sui giornali.
E poi ecco l’ultimo atto: alle 11,30 i carri armati della 324^ divisione nordvietnamita abbattono il cancello del palazzo presidenziale di Saigon, dove è rimasto a rappresentare lo Stato del Sud solo il generale Dương Văn Minh, detto “Big Minh”. I primi a entrare sono due T-55 di fabbricazione sovietica (n° 843 e 390) e saranno i due equipaggi a issare le bandiere vietcong e nordvietnamita sul balcone del palazzo, ponendo di fatto fine a una guerra che insanguinava il paese da oltre vent’anni. Oggi, due carri identici a quelli che hanno fatto la storia (e concluso una guerra) sono parcheggiati nel cortile di quello che è stato rinominato “Palazzo della Riunificazione” nel cuore della città conosciuta, pure lei, con un nuovo nome: “Ho Chi Minh City”.
Consigli per un giorno a Saigon? Li trovate qui.
Grande pezzo
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Grazie Massimo!
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