Il ponte di Sarajevo: qui iniziò l’assedio

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Il ponte più noto di Sarajevo è senza dubbio quello Latino, perché si trova in corrispondenza del punto dove Gavrilo Princip esplose quei fatali colpi di pistola nel giugno del 1914, uccidendo Franz Ferdinand.  Ma qui raccontiamo del “Most Suade i Olge”, un anonimo ponte di sessanta metri sulla Miljacka, al confine tra i quartieri di Grbavica e Skenderija. In realtà, se domandate a un sarajevese “vero” (non di quelli arrivati dalle campagne dopo la guerra) fate prima a chiedere del ponte di Vrbanja, il vecchio nome con il quale ancora oggi si conosce e si trova in molte mappe.

Su questo ponte il 5 aprile del 1992 persero la vita sotto i colpi dei cecchini serbo-bosniaci appostati sull’Holiday Inn, Suada Dilberović e Olga Sučić, due giovani donne che stavano partecipando a una manifestazione per la pace. Vengono considerate le prime due vittime dell’assedio di Sarajevo, il più lungo della storia moderna: 5 aprile 1992 – 29 febbraio 1996. Nel corso di quegli anni, i serbi cercarono di stringere la loro morsa bersagliando Sarajevo dalle colline circostanti, ma in alcuni punti riuscirono a penetrare in città fino a quel fiumiciattolo marrone e striminzito che è la Miljacka. Il ponte di Vrbanja divenne la linea del fronte, luogo di scambi, di trattative e di morte.

Il 19 maggio del 1993, sul suo selciato deturpato dai proiettili e dalle granate, si svolse un altro simbolico atto della tragedia bosniaca: due fidanzati venticinquenni, nel tentativo di fuggire dall’assedio, attraversarono il ponte confidando in una illusoria tregua. Admira Ismić e Boško Brkić furono uccisi da un cecchino: lei era musulmana, lui serbo. I loro corpi abbracciati rimasero quattro giorni sul ponte perché era troppo pericoloso tentare di recuperarli.

Successivamente il ponte venne occupato dalle Nazioni Unite, che vi installarono un posto d’osservazione con una guarnigione di una dozzina di soldati. Nella notte del 27 maggio 1995, un reparto di serbo-bosniaci, utilizzando un blindato sottratto alle Nazioni Unite e indossando uniformi francesi, presero prigionieri con l’inganno gli uomini della guarnigione e conquistarono senza colpo ferire il ponte di Vrbanja. Questo avrebbe potuto costituire una falla nelle difese dei difensori di Sarajevo, perché attraverso di esso i carri armati serbi avrebbero potuto raggiungere il cuore della città, ma il silenzio radio dall’unità catturata insospettì il comando francese, che si accorse quasi subito dell’accaduto. Il generale Hervé Gobilliard, comandante Onu del settore, senza attendere disposizioni dall’alto (praticamente unico caso in tutta la missione Unprofor) decise di reagire immediatamente e alle prime luci dell’alba ordinò di riconquistare il ponte. L’azione venne condotta dal 3° Reggimento Fanteria di Marina dell’esercito francese: il fuoco di copertura sarebbe stato fornito dalle armi individuali di 70 uomini e da sei potenti cannoni da 90 mm montati sui blindo Panhard Erc 90, mentre 30 uomini sarebbero andati all’assalto. Il plotone riprese il ponte alla baionetta (l’ultimo assalto di questo tipo risaliva alla guerra di Corea) in meno di venti minuti, lasciando sul campo 3 morti e 10 feriti. I serbo-bosniaci ebbero 4 morti, 3 feriti e 4 prigionieri.

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