Era l’8 aprile del 1820 quando George Kentrotas, agricoltore, stava lavorando nel suo campo, ai piedi della porta est delle antiche mura della città di Melos, allora capitale dell’isola greca delle Cicladi. Si è imbattuto in una statua di marmo di Paros, bianca, alta due metri. Rappresentava la dea Afrodite. La notizia del ritrovamento è arrivata in fretta al porto e un ufficiale francese intuì l’importanza della scoperta. E se ne volle subito impossessare. Il luogo esatto in cui la Venere di Milo è stata ritrovata è poco distante dall’antico teatro e dalle catacombe (visitabili entrambi). Chiunque a Milos conosce la sua storia, ma ve ne racconterà sempre aneddoti e dettagli diversi.

Dopo il ritrovamento, la storia si divide: c’è chi sostiene che la statua sia stata pagata dai francesi, per portarla in regalo a re Luigi XVIII e chi invece conferma di avere le prove di una razzia. “In quel tempo eravamo in guerra, sotto il dominio turco – dice a La Stampa il sindaco di Milos Gerasimos Damoulakis -, la statua è stata presa da un ufficiale francese e caricata su una nave da guerra”, la goletta L’Estafette.
A Milos rivogliono la Venere, ora conservata al Louvre e una delle opere per cui, di fatto, si visita quel museo. L’amministrazione di Milos ha iniziato una raccolta firme ed esiste un comitato, “for the repatriation of Aphrodite of Milos Home” presieduto dal vicesindaco Zambeta Tourlou (petizione su www.takeaphroditehome.gr, ha già il sostegno dell’Unione dei Comuni della Grecia. L’obiettivo è riuscirci entro il 2020, quando cadrà il bicentenario del ritrovamento.
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