Il lato nord della lunga piazza della Vittoria (che sembra un viale) di Timisoara è occupato dal Teatro dell’Opera, un edificio dalla grande facciata bianca in stile Neobizantino. Dal suo balcone, il 20 dicembre 1989, Timișoara venne proclamata prima città romena libera dal Comunismo in un tripudio di bandiere blu, gialle e rosse con un vistoso buco al centro, quello lasciato dal simbolo della Repubblica Socialista. Tutto si è svolto con incredibile velocità e, come spesso accade, la scintilla è partita accidentalmente, per errore: a metà dicembre di quell’anno il governo decide di espellere dal Paese un dissidente ungherese, il pastore László Tőkés, reo di aver pubblicamente criticato il regime. E quindi anche il suo dittatore, Nicolae Ceaușescu, il Conducator (la Guida), che da oltre 25 anni affama il popolo mentre la sua famiglia conduce una vita principesca. A renderlo ancora più odioso è la costante presenza al suo fianco della cinica moglie Elena: ha frequentato fino alla seconda elementare, è poco più che analfabeta eppure tra le varie cariche di Stato che ricopre c’è anche quella di presidente del Consiglio nazionale della Ricerca scientifica.
Il 16 dicembre una folla di fedeli si raduna attorno alla casa del religioso ungherese, che vive appunto a Timișoara, per dimostrare la propria solidarietà. Alla protesta si uniscono ben presto anche molti studenti (la città è sede di numerose università), e dalla folla iniziano ad alzarsi cori contro il Partito Comunista Romeno. Qualcuno intona un canto patriottico vietato, “Desteapta-te, Romane!” (“Risvegliati, romeno!”), che diventerà poi il nuovo inno nazionale. Il giorno dopo, il 17, la manifestazione si è già ingrandita e ha assunto una connotazione apertamente anti regime: molte delle migliaia di persone scese in piazza non sanno neanche il motivo iniziale della protesta, che gli organi di comunicazione pubblica liquidano come “assembramento di teppisti”. Intervengono la Militia, l’Esercito e la Securitate, la temuta e spietata polizia segreta del regime; la situazione precipita, scoppiano conflitti a fuoco, si alzano barricate, si contano morti da ambo le parti. Il 20 dicembre, dopo due giorni di guerriglia urbana, quando le forze di sicurezza sembrano aver prevalso, entrano in città colonne di lavoratori provenienti da tutte le fabbriche della provincia di Timis e le sorti si capovolgono. Oltre 100 mila manifestanti occupano le strade della città e dal Teatro dell’Opera una delegazione di intellettuali e dissidenti proclama la liberazione di Timișoara. A nulla servirà il disperato tentativo di Ceaușescu di far giungere, il giorno seguente, treni carichi di lavoratori dall’Oltenia, una provincia che reputa a lui fedele, da utilizzare come controrivoluzionari. Perché anche loro si uniranno alla rivolta.
Timișoara paga per il suo slancio di libertà: 72 morti e 253 feriti. Ma dà il via alla rivoluzione (l’unica violenta tra i Paesi dell’ex Patto di Varsavia) che infiammerà l’intero paese e che porterà alla destituzione e alla sommaria esecuzione del dittatore e della moglie.
Nel leggere questo articolo mi è venuta la pelle d’oca. La città in cui sono nata..
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