A pochi chilometri da Palermo, fra monti brulli e inaspettatamente maestosi, si trova un luogo che è stato teatro (nel vero senso della parola: la conca sembra “nata” per le rappresentazioni) della prima strage dell’Italia repubblicana. È Portella della Ginestra. Non ci sono case, ma solo prati e grosse pietre calcaree dove il 1 maggio del 1947 migliaia di braccianti di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato, San Cipirello e altre borgate avevano deciso di riprendere la celebrazione della festa dei lavoratori, usanza interrotta durante il Ventennio fascista. Erano tempi di speranza per i contadini siciliani, che nel giro di pochi anni avevano visto cadere la dittatura e indebolirsi la mafia dei latifondi: nelle elezioni regionali di aprile il Blocco del Popolo, un’alleanza di forze di sinistra che rivendicava le riforme agrarie e sosteneva i diritti dei braccianti, aveva ottenuto una netta vittoria. Ma proprio mentre stava iniziando il comizio celebrativo, cominciarono a piovere dalle alture circostanti, sulla folla radunata, raffiche di mitra e colpi di fucile. Uomini e animali (molte persone erano salite dal fondo valle a dorso di muli e asini) cominciarono a fuggire. Alla fine ci furono 11 morti e 27 feriti.
Gli esecutori materiali della carneficina furono presto individuati: gli uomini della banda Giuliano, formazione armata al servizio della mafia. Ma nessun nome trapelò sui mandanti. Il famoso bandito fu ucciso tre anni dopo a Castelvetrano, ufficialmente in un conflitto a fuoco con i carabinieri. Anni dopo si scoprì che a ucciderlo (a tradimento) era stato il compare di banda Gaspare Pisciotta, finito a sua volta morto ammazzato (con il caffè alla stricnina, servito in carcere) nel 1954. I mandanti sono ancora sconosciuti.
Sui prati di Portella – un luogo che non si trova sulle rotte turistiche ma che vale senza dubbio una visita sia per la bellezza dei paesaggi sia per le suggestioni che trasmette – è stato realizzato un memoriale (primo esempio italiano di “land art”) consistente nella collocazione di grandi massi di pietra locale che simboleggiano le vittime. Su di essi sono incisi e ripassati con vernice rossa i nomi dei caduti, una poesia, la sintetica descrizione dei fatti. Questa: “1 maggio 1947. Qui celebrando la festa del Lavoro e la vittoria del 20 aprile su uomini donne bambini di Piana, S. Cipirrello, S. Giuseppe si abbatte il piombo della mafia e degli agrari per stroncare la lotta dei contadini contro il feudo”.
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